24 Mag CON LA LUNA LE MAREE | Racconto #2
CAPITOLO II:
Questa sera è la sera. Non puoi chiamarti fuori, Phil!- dall’altro capo del telefono, con voce perplessa: -Sai Teo, non saprei…forse stiamo commettendo lo sbaglio più grande della nostra vita…uhm…A volte è piacevole superare i propri primati…non solo quelli col segno meno davan… Teo lo interruppe: “Smettila con le tue idiozie, cazzo, oppure la testa te la faccio saltare io, senza troppi problemi. Sono anni ormai che io, tu e gli altri parliamo e viviamo solo in funzione di quel giorno. Bene, quel giorno è arrivato ed è arrivato anche per te, credimi…prova a guardarti dentro Phil, guardati in fondo all’anima…sono certo che ti verranno in mente tutti i momenti che abbiamo passato insieme negli ultimi anni…e tutti portano a stasera…non mi deludere. Ci incontriamo al grande cancello, giù al porto, intorno alle 7. Ciao sciocco” e riattaccò. Phil rimase incollato a quel dannato telefono ancora per un po’, lo sguardo fisso verso la parete, quella telefonata lo aveva turbato. Stava pensando a miliardi di cose, l’una contemporaneamente all’altra, e non ci stava capendo nulla. Così decise: si accese una sigaretta e sedette sul divano, con l’improbabile intento di pensare; metodicamente; alla propria vita. Voleva quantificare il valore delle cose che fino a quel momento aveva vissuto. C’era nebbia fuori. Talmente tanta da stuzzicarlo. Si alzò. Un appetito di curiosità aveva vinto la sua riluttanza al movimento; si diresse verso la finestra. La aprì e diede uno sguardo fuori: questa nebbia è veramente fantastica – pensò – così densa, liquida e avvolgente. Potrebbe nascondere qualsiasi cosa mantenendo intatta la propria innocenza, la propria purezza. Mentre farneticava a proposito della nebbia e di tutte le sue possibili varianti si accorse della presenza di un uomo, in un balcone del palazzo di fronte. Anche lui stava fumando. “Ho già visto quel tizio da qualche parte” pensò. Incominciò a scervellarsi: “come accidenti si chiama!?!? Eppure…”.Intravide fra la foschia un altro signore, su di un altro balcone. Anche lui stava fumando. I gomiti appoggiati sul parapetto. Le gambe incrociate, dietro. Phil mise inconsapevolmente a fuoco l’intera facciata del palazzo e presto si accorse che per ciascuna finestra c’era un uomo, sigaretta accesa, grigio in volto. In un attimo, un’epifania, realizzò, che quella dolce e stravagante nebbia non era altro che fumo, pregno di rassegnazione e tristezza di quei bastardi del palazzo di fronte. Chiuse la finestra e tornò a sedersi sul divano, un po’ più triste e stanco di prima. Ma non troppo. “In realtà – si disse – non c’è nulla su cui riflettere. La mia vita non è altro che la storia di un fannullone che si è sempre lasciato trasportare dove l’acqua correva, cercando di fare sempre il minimo indispensabile, per non annegare. Ho mai avuto veri amici? Beh, si, da bambino certamente, ma ora non ci sono più…il nostro piccolo gruppetto si è sgretolato e di quel fantastico mondo siamo avanzati solo io, Teo, John e Pond. E le ragazze…chissà…se avessi conosciuto altre ragazze probabilmente non mi sarei cacciato in tutti i guai che ho avuto….e quanti dispiaceri per i miei vecchi – si accese un’altra sigaretta. Voleva che i suoi farnetichii avessero come degno compagno l’odore acre del suo tabacco bruciato. Continuò a riflettere su di sé, in volto quel sorriso di chi prende la vita con sarcasmo, anche al cospetto delle migliaia di sconfitte-mattoni che vanno a costruirla. Si stava perdendo…poi decise:”questa sera sarò con Teo e gli altri…per l’ultima volta”. Spense la cicca e si coricò. Non riusciva a dormire. Il sole penetrava le sue pupille, amplificando la sua emicrania e stuzzicando i suoi nervi, già a fior di pelle. Il tempo scorreva veloce. Dopo qualche istante erano già le sette.”Cazzo!!! – pensò – Già le sette!?! Devo andare!!!”. Si vesti in fretta, indossando il suo maglione di lana verde, jeans viola, come al solito del resto, e poco altro. Se ne andò al porto scalzo. Arrivò puntuale a quell’appuntamento. Lo capì perché nessuno lo insultò o cose di questo tipo. “Ehi Phil – domandarono all’ unisono John e Pond – sei pronto per stasera?” “Beh…in effetti…” in quel momento Teo interruppe l’amico sbucando fuori dalla sua auto parcheggiata lì a fianco. Aveva gli occhi completamente iniettati di sangue, ma non incutevano timore: forse era da giorni che non chiudeva occhio, pensando a quello che sarebbe successo. Batté con la mano sulla spalla di Phil e disse:”Non riesco più ad aspettare! Questa cazzo di attesa mi sta logorando…rischio di morire prima del previsto” ed esplose in una risata isterica e liberatoria che fece breccia nello spirito dei compagni, tanto che Pond propose con successo di iniziare a raccogliere e preparare gli attrezzi dalla machina, e di recarsi al posto predefinito, per consumare la loro ultima serata. Teo era l’unico ad avere preso la macchina. Il baule era aperto. Al suo interno tanta marijuana, pasticche in quantità, del buon whisky invecchiato e quattro pistole calibro 12. I quattro si divisero il bottino e si diressero verso una vecchia casa diroccata proprio in prossimità del porto. Entrarono senza alcun problema. Qualcuno ebbe l’idea di sigillare la porta con qualche asse e qualche martellata, per evitare che spiacevoli visitatori potessero rovinare la loro festa. Si accomodarono nella stanza più grande dell’edificio, forse una stanza da letto, o una sala da pranzo, o che so io… Rovesciarono tutto quello che avevano portato in terra. Si sedettero. John e Phil cominciarono a rullare spinelli a ripetizione, mentre Teo e Pond, fra un bicchierino e l’altro, lucidavano-caricavano-giocherellavano con le quattro pistole. A Phil non piaceva molto fumare quella roba. Aveva avuto brutte esperienze e così aveva deciso di smettere. Una volta aveva fumato talmente tanto che era riuscito a mandare il suo cuore in aritmia. Ma si stava divertendo in una di quelle sfide che di solito si fanno in solitario. Del tipo: se riesco ad aprire la porta di casa con la prima chiave che viene dal mazzo, domani sarà una bella giornata per me; oppure, stasera mi sono comportato correttamente. La chiave era spesso quella di un’ altra porta. Beh, quella volta si stava divertendo, fino a quando la situazione non era sfuggita dalle sue mani: il cuore pareva una drum machine impazzita che pulsava fiotti di sangue in quantità troppo diverse per potere rimanere lucidi. Allucinazioni apocalittiche, sintomi di morte, che seppe poi essere passata proprio ad un passo da lui. In quella stanza però, si divertiva a rullare, perché non riusciva mai a chiuderle in maniera decente e provava piacere nel farsi insultare dal primo espertoide che capitava dalle sue parti. Questa volta toccò a John: ”Ehi Phil…ma che cazzo fai!?! Hai bisogno di un insegnante di sostegno?!! Fatti da una parte e chiudila dal centro…mamma mia! – si versò del whisky nel bicchiere – quarant’ anni e non sapersi ancora rullare una canna…è inquietante”. Esplose in una risata benevola. Intanto si era fatto notte. I quattro rimasero in quella stanza per ore, imbottendosi di pasticche, fumando e bevendo incessantemente. Tutti eccetto Phil, che beveva il suo whisky , fumando le sue maledette sigarette, una dietro l’altra. Ad un tratto Teo prese la pistola, nascosta assieme alle altre sotto il suo giubbotto. Passò un istante. Tutti capirono che il momento era arrivato. Persino Phil era stanchissimo. Aveva molto sonno ed in quelle condizioni – pensò – è facile confondersi con questi tre pasticcomani. “Phil, John, Pond, siete stati i miei migliori amici e per questo vi ho amato. Siamo insieme anche in questo momento, e ficchiamolo in culo a quel bastardo che ci ha scoreggiato su questa terra!!! Abbiamo aspettato troppi anni….è ora di farla finita, non è vero!?!?” John e Pond annuirono festosamente come due perfetti idioti mentre Phil si preparava a prendere confidenza con la sua pistola. In lui si stava insinuando la paura. Terrore, figlio d
el rimpianto di cui si era sempre cibato. Il rimpianto di non potere più tornare indietro, che lo immobilizzava. Bastò tuttavia un’occhiata di Pond, l’unico ancora abbastanza lucido per capire quello che bolliva nella testa dell’ amico, per seppellire definitivamente ogni improbabile pensiero di fuga. Tutti erano pronti. Il grilletto sull’ attenti e la canna puntata in gola. “Ragazzi. Insieme al mio tre” …1… …2… …3. Subito dopo quel tonfo che riempì l’aria, a terra giunse come una soffice pioggia di vapore e di rosso, detriti e resti umani. In brevissimo tempo il sangue che fuori usciva dai quattro corpi ricoprì il pavimento, mentre fuori faceva mattino. Qualcosa poi si mosse. Il piede di Phil si contorceva nevroticamente. Dopo qualche istante, Phil sedeva in terra, impregnato di sangue e urina. Com’ era possibile?!? “Ma perché cazzo sono ancora vivo?!?! – si domandò. Immediatamente si rispose – non sono stato in grado neppure di uccidermi…eppure ho sparato forte…ho mirato alla testa…devo aver colpito qualche centro nervoso addetto alla custodia del…che ne so…del cuore!?!”. Zona morta da tempo – pensò. “Beh, comunque…” e si interruppe. Vide a terra i suoi tre amici sfigurati, avvolti e coperti in un bagno di sangue. Loro erano la sua vita e quella era la fine che avevano fatto. “Raccontare la sfortuna di essere sopravvissuti ai propri cari?!? Non sia mai…” – pensò. Così prese la pistola in pugno, la caricò e premette il grilletto per la seconda volta. Fu anche l’ultima.
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