15 Ott Pipl have the power
Era la fine degli anni ’80 e una ispiratissima Patti Smith cantava “People have the Power”. Da allora ad oggi forse le cose sono cambiate e se già allora le persone erano bombardate da messaggi pubblicitari con cui fare i conti, oggi la situazione questa tendenza è sicuramente esasperata. Questa “realtà” è sicuramente “aumentata”: non siamo più noi a seguire i trend della moda, ma sono le mode a inseguire noi, grazie ai dati che ogni giorno inseriamo online, rinunciando di fatto ad una fetta sempre più grande della nostra privacy.
Che Facebook abbia venduto i dati di milioni di profili registrati ad aziende terze non è più un mistero. La notizia dello scandalo Cambridge Analytica è stata in testa a tutti i notiziari per settimane e questo ha sicuramente sensibilizzato il popolino sui rischi rappresentati dal web quando si parla di protezione dei dati personali e di privacy.
Non parliamo poi di Google: Il motore di ricerca per eccellenza, che è in grado di trovare la quasi totalità di informazioni legate alla nostra identità online. E se Google mostra qualche debolezza rispetto ad una qualsivoglia query egosearchy, Google images è pronto a stupirvi con fuochi d’artificio che ti lasceranno a bocca aperta.
Ma questo è niente se paragonato alla precisione con cui Pipl.com è in grado di profilare gli utenti a partire da un semplice input, un indirizzo email o addirittura un numero di telefono!
Chi è Pipl e dove prende i nostri dati
Pipl è uno dei motori di ricerca più diffusi negli Stati Uniti, è di proprietà di IBM Cloud, ed è nato per verificare le identità degli utenti di internet a partire da fonti disaggregate presenti online e sul deep web. Hai letto bene, deep web.
Sostanzialmente Pipl è in grado di trovare informazioni che matchano con l’input inserito come query di ricerca sia all’interno delle informazioni presenti su pagine web attive, seguendo i link che portano ad altre pagine dove magari sono contenute info che ci riguardano, ma anche su tutte quelle pagine che non sono più linkate in nessuna pagina, che sono precipitate nel fondale della rete. Appunto il deep web.
Come riprendersi l’anonimato
Purtroppo in rete l’anonimato è inversamente proporzionale al tempo che vi trascorriamo dentro, ma soprattutto al numero di strumenti che utilizziamo per navigare la rete. La rivoluzione mobile poi ha esasperato questa tendenza, poiché ora la nostra attività online è agganciata ad un codice univoco che identifica esattamente chi siamo e qual è la nostra vera identità: il nostro numero di telefono.
Avere il controllo dei nostri dati online passa quindi attraverso la razionalizzazione dei profili web legati alla nostra persona: il consiglio è quello di chiudere tutti gli account di applicazioni e piattaforme che non stiamo utilizzando e di controllare filtri privacy ma soprattutto contenuti sulle app di cui non possiamo fare a meno.
In questo senso, i recenti scandali legati a Google+ e alla fallacia del suo sistema di gestione dei dati e della privacy, mettono questo social network in testa alla lista delle applicazioni da cui rimuovere i propri dati.
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