27 Ago Storia della Discoteca, dagli anni 60′ a Point Break
Perché raccontare la storia della discoteca in modo lineare? Ieri sera in TV abbiamo rivisto Point Break. Surfisti alternativi capelloni che fanno rapine nelle banche con indosso maschere dei presidenti degli Stati Uniti d’America. The Presidents of the United States. Video Killed the Radio Stars. Ma quel tipo di sottocultura giovanile stereotipata non era l’unica in circolazione a cavallo fra gli anni 80′ e 90′. L’occidente stava uscendo a tutta velocità da La Febbre del Sabato Sera come uno space shuttle che fora la stratosfera e corre lontano dalle zampe di elefante di John Travolta. Dritto verso nuovi pianeti.
Nonostante ciò, il luogo in cui centinaia di migliaia di gggiovani in tutto il mondo era solito esprimere il meglio di sé, trasgredire per affermare la propria diversità nei confronti del sistema fatto dai padri, dall’ordine costituito e dal passato, era proprio la discoteca. Ed è innegabile che il ruolo delle sale da ballo oggi sia stato drasticamente ridimensionato da una società e da un modo di mettersi in comunicazione con i propri simili non necessariamente peggiore o migliore, quanto piuttosto certamente diverso.
“Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today”, in mostra la storia della discoteca
La mostra che mette in scena la sua storia, presso il museo il Centro di Arte Contemporanea Pecci di Prato, intitolata Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today, è un viaggio convincente e ben documentato nelle atmosfere dei primi night club della storia, come il celebre l’Ufo Club di Canterbury che prestò il suo palcoscenico alle prime acerbe esibizioni di Syd Barrett e dei suoi Pink Floyd, o come l’Electronic Circus di New York, che faceva proprie le teorie di Marshall McLuhan sul potenziale trasformativo dei media elettronici e dall’altra parte realizzava il credo utopico degli architetti che lo avevano progettato. Orto pubblico sulla pista da ballo incluso.
Un viaggio che attraversa oltre 5 decadi, in cui cultura giovanile di massa, architettura, musica, droga e forme di comunicazione danzano in un vortice che è riuscito a produrre, con vicende alterne, picchi di estro e creatività davvero geniali: dagli spettacoli di luce psichedelica di Jackie Cassen all’avanguardia nel 1966 agli eccessi dello Studio 54, dalla Disco Demolition Night del 1979 alla summer of love in salsa sintetica dei rave dei primi anni ’90. Un viaggio che oggi sembra aver perso di importanza, se non altro rispetto al ruolo di questi spazi nella cultura giovanile di massa: la nascita del fenomeno della discoteca a livello mondiale (intesa come Dancing dove un Disc jockey sostituisce la Band musicale) sembrerebbe risalire a Parigi nel 1954 ed esattamente al “Le Whisky a gogo” di Paul Pacini.
La posizione dei curatori della mostra? Fatalista ma estremamente lucida, l’idea è che l’avvento della società dell’informazione ed in particolare dei social media abbia progressivamente prosciugato questi luoghi dell’importanza ricoperta nella mente delle generazioni più giovani. Le ragazze / i ragazzi non si incontrano più in disco, ma su Facebook o più recentemente Instagram, per intenderci. Mentre per sentire musica non è più necessaria una sala concerti, quando è sufficiente una playlist di Spotify.
Di queste ed altre controindicazioni della modernità non bisogna curarsi troppo comunque, perché ancora ci siamo dentro e non abbiamo gli strumenti per capire fino che musica balleremo negli anni a venire. In fondo bisogna solo sentire l’onda, assecondare la sua energia, sintonizzarsi e poi lasciarsi andare!
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