20 Set Deep Financial Horizon
Mentre cominciamo a dimenticare del disastro del Golfo del Messico, la deepwater horizon e le grottesche misure d’intervento che Brithish Petroleum e governo americano hanno messo in atto per sanare la perdita di petrolio ad oltre 1500 metri di profondità, le chiacchiere sullo stato delle finanze di BP si fanno sempre più maligne e a quanto pare, consistenti. Deep Water Horizon era il nome della piattaforma sotto la quale si è aperta una falla capace di riversare migliaia e migliaia di litri di petrolio nelle acque dell’oceano, i cui danni sono ancora oggi difficili da quantificare. L’immagine qui a fianco non è una tela di Van Gogh. E’ petrolio che galleggia poco distante dalle rive del Mississipi. il punto però è una altro. E se la BP dovesse nascondere falle anche dal punto di vista societario e finanziario? Vedo già i titoli sulle prime pagine dei giornali. Vuoi che nessuna parli di British Petroleum e del suo crack, come di un “Deep Financial Horizon”?!
Il disastro ambientale è stato per mesi sotto gli occhi di tutti. Poi, come spesso accade in questi casi, all’annuncio che “la missione era compiuta”, ossia che dal fondo del mare non risaliva più verso la superficie la massa oleosa, dopo che per mesi tonnellate di petrolio sono state riversate nel Golfo del Messico, è calato il silenzio. Oggi, circolano notizie contrastanti. C’è chi dice che i famosi gamberi bianchi della Louisiana sono più buoni che mai, che gli stessi crostacei hanno sviluppato nel loro organismo un batterio capace di mangiare, letteralmente, il petrolio. Dall’altro canto, invece, c’è chi sostiene che tutt’ora sulle spiagge della costa sudorientale degli Usa si trovano ancora numerosi animali (specie uccelli acquatici) morti e che il mercato ittico sconta uno stato di profonda crisi. Nessun americano o quasi, si fida ad acquistare pesce proveniente dalla zona in cui quell’ormai lontano 20 aprile la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della Brithish Petroleum, in seguito a un incidente riguardante il Pozzo Macondo, posto ad oltre 1.500 metri di profondità, ha riversato per ben 106 giorni consecutivi milioni di barili di petrolio che ancora galleggiano a largo delle coste della Luisiana, del Mississippi, dell’Alabama e della Florida, oltre alla frazione più pesante che ha formato ammassi catramosi per km sul fondale marino. È stato il disastro ambientale più grave della storia americana, avendo superato di oltre dieci volte per entità quello della petroliera Exxon Valdez nel 1989, allora nella glaciale Alaska. Eppure, secondo voci molto informate, La BP sta andando incontro ad un altro devastante disastro, questa volta finanziario.
C’ENTRANO ANCHE STAVOLTA I DERIVATI – Potrebbe essere un crack “AIG-stile”. Voci sempre più ricorrenti, riprese nel numero in edicola della rivista RollingStone vogliono che BP sia sull’orlo del fallimento e che se la società lo dichiarasse, si potrebbe innescare il caos nel sistema finanziario di mezzo mondo. Un terremoto che potrebbe essere paragonato a quello già avvenuto tra il 2008 e 2009 con i crack di importanti società di Wall Street. Una prima avvisaglia la si è avuta lo scorso 15 giugno, quando Barack Obama andò alla televisione per dire al popolo americano che non aveva intenzione di lasciare a BP alcuna facile scappatoia dalle sue responsabilità. “Faremo pagare BP per il danno da loro causato“, dichiarò l’inquilino della Casa Bianca, promettendo che sarà la stessa BP a risarcire le vittime e ad accollarsi il costo del risanamento ambientale per una cifra che si aggira per intorno ai 20 miliardi dollari. Il giorno dopo Wall Street fu percorsa da una vera e propria ondata di panico. Se il governo era seriamente intenzionato ad inchiodare BP alle sue responsabilità ci sarebbe stata una grave perdita per gli azionisti e non solo loro, visto che lo stato patrimoniale di BP non è più floridissimo. Qualcuno cominciò a far balenare il rischio di una possibile bancarotta. Voci che furono prontamente smentite ma che lasciarono più di un dubbio negli operatori finanziari di mezzo mondo.
BP NON È SOLO PETROLIO – A Wall Street, una società come BP non è solo una redditizia società di energia con un sacco di attività come piattaforme petrolifere, oleodotti e stazioni di servizio, ma è anche una società che prende in prestito regolarmente centinaia di milioni di dollari per mantenere la propria attività in funzione. Sul suo debito, a Wall Street girano milioni se non miliardi di dollari in termini di contratti derivati e vari altri strumenti della cosiddetta finanza creativa. Quelli stessi strumenti che sono alla base dello schianto finanziario mondiale del 2008. BP, allora ha detto di essere sufficientemente solida per sopportare le perdite finanziarie derivanti dalla fuoriuscita di petrolio a largo del Golfo del Messico, aggiungendo di non sapere il perché del contemporaneo collasso delle sue azioni. Il costo delle operazioni ammonta, secondo la compagnia, a circa 1,43 miliardi di dollari (circa 1,19 miliardi di euro). Nell’economia globalizzata di oggi, non è necessario il permesso di un’azienda come BP (o di una casa in Florida, o di un paese come la Grecia) per scommettere sul loro debito. Non c’è limite al numero di volte che si può “scommettere” sullo stesso risultato: una società può avere contratto qualche milione dollari in prestiti ed obbligazioni, ma decine e decine di banche, hedge funds e altri operatori finanziari potrebbero cumulativamente scommettere 100 milioni di dollari sul rischio di insolvenza della stessa azienda, se questa riuscirà o meno a pagare in tempo i suoi creditori. Ecco perché, se un colosso grande come BP va sotto, può causare perdite al di là delle sue proprie passività: i derivati comprendono un’economia sommersa praticamente senza regole che, negli Usa, è 100 volte più grande del bilancio federale.
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(fonte: TradingBorsa.Net)
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