10 Set King Buzzo – This Machine Kills Artists – Live @ Hana Bi, Marina di Ravenna – 07/09/14
Siamo arrivati presto per goderci lo spettacolo dall’inizio. Mi aspettavo già una folla oceanica ad accogliere una delle leggende del rock and roll, nata da croste alternative di camicie di flanella vecchie di ormai 30 anni e divenuta nel tempo una vera e propria icona per tutti i cultori della scena underground, indie-pendent, sludge, stoner e oltre. Si badi, non è stato ancora utilizzato il termine “grunge” nonostante Buzz Osbourne – in arte King Buzzo – sia la miccia che fece esplodere la creatività e la voglia di suonare in una band di musicisti ben più noti al grande pubblico fra cui certamente il signor Kurt Cobain. Ok forse la metafora della miccia e dell’ “esplodere” è infelice, ma passiamo oltre.
Arrivati all’Hana Bi vedo sul vialetto che porta al parcheggio, un cespuglio di capelli crespi e brizzolati, sulle spalle una cartellina quadrata che sembra contenere un paracadute. Il resto è tutto nero. Dal quadrato che le sue mascelle disegnano con le sopracciglia lo riconosco: King Buzzo!!!! Lo abbraccio e lo bacio come se non ci fosse un domani, lui sorride ma si congeda velocemente salutando con un “Thank You for Coming”. Mi dico: “ma guarda che grande, ringrazia già che ancora non ha suonato!” poi giro l’angolo e mi rendo conto che davanti al palco non c’è anima viva. Sono le 9 meno 5, l’evento in teoria parte fra 5 minuti.
In realtà nel giro di un’oretta la situazione svolta sensibilmente, il locale all’aperto è ben popolato e non sembra il primo weekend di settembre. Poi sale sul palco lui ed intona il primo di una breve serie di pezzi tratti dal suo nuovo album, This Machine Kills Artist che segue a distanza di 24 anni il suo esordio da solista “King Buzzo Ep”.
Nient’altro da aggiungere. Se non che Buzz Osbourne appare oggi come un vero e proprio partigiano (this machine kills fascist d’altronde deve avere significato qualcosa per lui) di quel modo di fare musica un po’ perduto, sgualcito dai tempi frenetici del mondo post In-Utero, in cui inizia a dilagare internet, il white noise, l’usa e getta, lo stream e dimentica, l’effimero fine a se stesso. Dall’altra parte della barricata ci sono gli artisti come King Buzzo che nonostante una carriera pluridecennale alle spalle continuano imperterriti ad essere uguali a se stessi nel tempo, imparando giorno dopo giorno a valorizzare quanto di meglio il proprio estro e la propria creatività ha saputo donargli. Così mi stupisce assistere ad uno spettacolo che trascende la formula del concerto e incarna integralmente quella di esibizione: teatralità, voce sospirata, recitata, grandi dinamiche, mentre quando “il Re del Buzz” è lontano dal microfono si aggira per il palcoscenico come una bestia primordiale catturata e messa in gabbia, lì sul palcoscenico, per fingere ancora una volta, per dire ancora una volta la verità .
I brani di This Machine Kills Artist non sono dei bastardi, sono al 100% figli di King Buzzo, nonostante lo strumento con cui sono stati concepiti non è una black beaty dentro ad un Mesa Boogie, quanto piuttosto una semplice chitarra acustica. La tonalità però è la stessa, i suoni sono cupi, probabilmente in drop C. Rough Democracy, Laid Back Walking, e Drunken Baby (quest’ultima, trasudante Seattle) alcuni dei pezzi tratti dall’album eseguiti ed assolutamente apprezzati. E nel finale due perle tirate fuori dal cilindro dei Melvins, in altrettante magiche versioni acustiche: Hooch e Honey Bucket.
Una nota di merito anche all’Hana Bi che in questa variabile estate ballerina ha picchettato al suolo diverse bandierine molto giuste (mi vengono in mente i Cosmic Dead e Lee Ranaldo in questo momento). Bravi..e grazie!
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