01 Ott 10 rock cover belle tanto quanto la versione originale. Se non di più
Il gioco è quello di trovare quante più rock cover possibili nell’infinito universo discografico in espansione. Ho realizzato una personalissima playlist su spotify in cui ho raccolto tutti i brani più significativi che rientrano in questo insieme musicale, ma mi sono detto: “Hey, ma se dovessi metterli in fila dal più bello al più brutto?” Allora ho iniziato a selezionare e con non poche difficoltà sono riuscito ad individuare le prime 10 posizioni, cercando di utilizzare come criterio una sorta di equilibrio fra rilevanza storico-artistica-generazionale, un coefficiente che tiene conto della somma del valore della versione originale e di quella derivata (in cui buono + buono è uguale a mega buono) ed una più semplice presa bene personale. Ed escludendo Custard Pie degli Zeppelin rifatta dagli Helmet + David Yow perché sono reduce dal loro concerto di Bologna e non sono lucido. Ecco qua la mia personalissima classifica:
10 – Nirvana – Where did you sleep last night?
Tutte le volte che sento questo pezzo le mie vene iniziano a sudare freddo e la pelle diventa carta vetrata. E tutte le volte che sento storie di complotto riguardanti Kurt & Courtney penso che questa canzone sia stata scelta davvero dal Fù leader dei Nirvana per raccontare tutta la frustrazione nei confronti di una relazione tossica. Poco importa che questa canzone, prima di essere registrata e associata per sempre all’Unplugged in New York dei Nirvana, sia comparsa in altre spoglie sonore sul disco solista di esordio di Mark Lanegan, The Winding Sheet, per non disperdere il seme di una collaborazione, quella fra Cobain e Lanegan, che a cavallo fra ’80 e ’90 avrebbe dovuto culminare nella registrazione di un interno album di cover, realizzato a 4 mani, per celebrare Leadbelly, il Re delle 12 Corde .
9 – Search & Destroy – RHCP
Se dovessi dire chi meglio di tutti ha saputo fare tesoro degli insegnamenti e del messaggio portato sul pianeta terra dall’Iguana, su come volare alto in cielo e su come tornare a terra senza sfracellarsi al suolo, su come esplorare i confini della sobrietà ed oltre senza mai cadere davvero nel baratro, sarei indeciso fra alcuni nomi celebri, fra cui di certo figura quello di Anthony Kiedis dei Red Hot Chili Peppers. Non foss’altro per la somiglianza fisica che a mio parere risulta essere davvero imbarazzante. E allora metto al 10° posto questa versione di Search & Destroy, uno dei pezzi più fighi degli Stooges, realizzata proprio dai Red Hot all’inizio degli anni ’90, pubblicata su un CD che è tutto un programma: The Beavis and Butt-Head Experience!
8 – Is this love – The Freeks
Nel mondo dell’underground la buona abitudine di fare un tributo ad artisti viventi, più o meno contemporanei, per omaggiarli e per creare collegamenti non sembra navigare un buone acque. Molto più figo andare alla ricerca di perle talmente rare da risultare ininfluenti, ricercate nella discografia di chissà quale proto band seminale. In questo dobbiamo riconoscere a Ruben Romano – membro fondatore dei Nebula e grandissimo batterista dei Fu Manchu nel periodo post Brant Bjork – e ai suoi The Freeks un grande coraggio, una grande voglia di andare contro tendenza ed un grande gusto, per aver reso omaggio ad una delle artiste più ispirate ed eclettiche della storia del rock indipendente, Polly Jane Harvey, con una versione di This is Love davvero sexy, fumosa e potente.
Pubblico comunque il video della versione di PJ Harvey, perchè è più figa. Lei, la canzone e il video.
🙂
7 – Landslide – Smashing Pumpkins
Così come al punto (1) sono convinto ciecamente delle motivazioni che spinsero Kurt a scegliere Where did You Sleep last Night (anche se nel 1989 Courtney Love non la conosceva nemmeno…ma se lo sentiva!), sono altrettanto convinto che Billy Corgan abbia scelto questa ballata struggente dei Fleetwood Mac per elaborare il lutto della sua calvizie. No badate non scherzo. Nel testo si parla espressamente di bambini che diventano adulti e poi vecchi, dei capelli che cadono, della maturità e della voglia di invecchiare assieme alla persona amata. Scherzi a parte, una delle più belle ballad mai composte, bellissima nella versione originale ed ancora da un tocco graffiante nella versione di Corgan, pubblicata come B-Side sul singolo di Disarm e poi ripresa nella raccolta di outtakes degli Smashing Pumpkins, Pisces Iscariot, del 1994.
6 – Billie Jean – Chris Cornell
Per la maggior parte di voi che leggete forse in questa classifica, e magari proprio in questa posizione, avreste immaginato di trovare Allelujah di Jeff Buckley. Perché ci stava bene, se non tenessimo conto del fatto che rispetto al resto delle sue canzoni, quella non è certo fra le più travolgenti. E allora è giusto ricordare questa che per Chris Cornell divenne il brano in grado di dare una ribalta – anche in termini di popolarità – alla sua carriera da solista, proprio dopo quell’ Euphoria Morning del 1998, album dedicato all’amico Jeff scomparso prematuramente, dotato di una voce al di fuori del normale, troppo sensibile per questo mondo e forse troppo simile al compianto leader dei Soundgarden. Nella sua versione di Billie Jean di Micheal Jackson Billie Jean è una danzatrice che balla i suoi ultimi passi su una pista da ballo in cui suona ballata rauca, suadente e addolorata. #Nostalgia
5 – Light My Fire – Birth Control
Cosa c’è di più trasgressivo che decostruire e rimasticare uno dei brani più dirompenti della storia del rock, scritto e interpretato dal Re Lurcertola? La potenza di questa cover dei Birth Control, grandiosa band kraut rock berlinese, registrata e pubblicata nel 1970, risiede nel coraggio di aver scelto a soli pochi anni di distanza dalla pubblicazione di Light My Fire dei Doors, uno dei brani più dirompenti della storia del rock, ed averlo traposto in una chiave completamente diversa, da un lato ambiziosa e dall’altro sinceramente devota. Nella versione dei Birth Control, le griglie di tempo e spazio si alterano e si esaltano in divagazioni ed accenti progressive, che come direbbe Stanis La Rochelle, potrebbe apparentemente sembrare troppo Italiane financo troppo Europee, ma raccontano di un movimento, quello del rock e della contro cultura giovanile, che attraversata la summer of love – con vicende alterne – diventa più cerebrale, maturando in una tecnica musicale più sviluppata ed esaltando se possibile la voglia di sperimentare e di espandere le porte della percezione.
4 – With a Little Help of My Friend – Joe Cocker
Era il 1969, la prima tournée americana di Joe Cocker, l’uomo che nel 1968 era riuscito a strappare per qualche giorno le copertine dei magazine londinesi ai Fab four, con una loro stessa cover, contenuta nell’album che rivoluzionò l’industria discografica e il modo di fare e ascoltare la musica. Il disco era Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e la canzone era With a Little Help of my Friends. Quella canzone, sul palco di Woodstock sarebbe bastato solo un po’ di aiuto da parte dei propri amici. Una visione del monto che sarebbe stata messa in croce di lì a poco, a Cielo Drive, con un’altra canzone dei Beatles come colonna sonora, Helter Skelter… Ma questa è un’altra storia.
3 – Charles Bradley – Changes
Non conoscevo Charles Bradley prima di imbattermi in questo brano. Non conoscevo la sua voce e mi è dispiaciuto venire a sapere poco dopo della sua morte. Ogni volta che penso a lui mi viene in mente una di quelle storie in cui una grande potenzialità inespressa viene frustrata e riesce a manifestare solo una piccola parte di sé. Una voce davvero struggente, black, che non sfigurerebbe a fianco a gente del calibro di James Brown o Ray Charles, che trova spazio nel petto di un uomo del nostro tempo. Un interprete che si è misurato con grandi classici della storia del rock e che a un certo punto sceglie di mettere prestare la propria voce ad un pezzo piuttosto bizzarro nella storia del rock e in particolare nella storia dei Black Sabbath: Changes. Parliamo di una delle pochissime ballate pubblicate da Ozzy e soci, già di per sé intima e insolitamente romantica, pur con un pizzico di rassegnazione e disillusione. Un brano che nella versione di Bradley prende forma e si arricchisce di sfumature che la trasformano in qualcosa di nuovo. E di migliore, ascoltare per credere.
2 – Faith No More – Easy
Quando ascolto questa canzone vedo questa scena: il Pioneer XI che atterra su un pianeta sconosciuto, un gruppetto di esseri viventi alieni che entra nella sonda e guarda ammirato la placca che racconta chi sono gli esseri umani, della struttura dell’atomo di carbonio, dell’acqua e della vita. Gli esseri alieni rivolgono l’uno verso l’altro cenni di intesa, sullo sfondo un sole immensamente ampio che illumina il pianeta come un’alba cosmica, movimenti in slow motion avvolti in una comoda coperta di bassa gravità e nell’etere la versione dei Faith No More di Easy, che gira in loop come ossigeno per i nostri polmoni. Un brano che va oltre i generi, le distinzioni di genere e le classificazioni ingegneristiche della musica, proprio come lo stile di Mike Paton e di tutti i suoi progetti artistici, compresi ovviamente i Faith No More, la sua opera più importante. Tutto abbastanza ricostruito in maniera fedele rispetto alla versione originale dei Commodores, a parte ovviamente la voce di Mike Patton, a metà fra il gioco e la grande intensità. Ma parte quell’assolo di chitarra elettrica non ce n’è più per nessuno. Capolavoro!
1 – Grand Funk Railroad – Looking inside out
La prima volta che ho sentito Looking inside out ero in macchina e stavo ascoltando gli Obsessed. Una band che non ha bisogno di presentazione, ma decisamente heavy per paesaggi sonori e intenzione. Ma c’era una canzone diversa dalle altre, la più bella che era evidentemente legata ad un altro immaginario, con altri riferimenti. Da lì sono passato alla versione dei Grand Funk Railroad che per gli amanti del rock and roll rappresenta uno degli episodi meglio riusciti di sempre: groove, energia, improvvisazioni, grandi voci e cori, ma soprattutto gran sound! Ma anche la loro versione poi scoprii essere il risultato di un omaggio, il terzo livello, quello che porta all’origine delle cose. Una pepita d’oro lanciata sul nostro pianeta da Eric Burdon e i suoi Animals. Infiniti come la storia di questo brano.
No Comments